1
– i diritti dei minori
Nell’Ordinamento italiano, il bambino è il soggetto ritenuto
meritevole di una particolare protezione, perché in una fase evolutiva
e perché non ha ancora raggiunto una pienezza di maturità;
è colui che è compreso nella fascia di età da zero
a diciotto anni. Naturalmente all’interno di tale fascia e in ordine
all’esercizio di singoli diritti, vi è una differenziazione:
mentre all’infante non è riconosciuto alcun diritto (i diritti
vengono esercitati attraverso un rappresentante legale, il genitore e,
ove questi non vi sia, il tutore) con il progressivo crescere all’età
l’ordinamento attribuisce anche alla minore età la possibilità
di esercitare direttamente alcuni diritti (convenzione ONU, p. 27).
Al bambino vanno assicurate la protezione e le cure necessarie in modo
tale da tutelarlo e gli Stati devono adottare gli strumenti necessari
alla loro attuazione (cfr. Costituzione).2
– l'interesse superiore del fanciullo
Inoltre, anche se non compare nella nostra Costituzione, il principio
che viene seguito è quello dell’interesse superiore del fanciullo,
ed è comunque ben presente in numerose disposizioni legislative.
In varie norme, infatti, si sancisce che – nel possibile conflitto
di interessi tra adulti e minori - è necessario prendere in particolare
considerazione, e tutelare in modo preferenziale, quello che appare essere
l’interesse del soggetto più debole e che si apre alla vita.
Anche la Corte Costituzionale ha ritenuto così pregnante questo
principio e fondamentale per la tutela della personalità del minore
- i cui “equilibri affettivi, l’educazione e la collocazione
sociale” non devono essere pregiudicate- da utilizzarlo come criterio
di valutazione della costituzionalità della legge.
3
– il sistema italiano di giustizia minorile
– competenza penale
Il sistema italiano di giustizia minorile è costituito da un giudice
specializzato (il Tribunale per i Minorenni in primo grado; la Sezione
per i Minorenni della Corte di Appello in secondo grado), con apposito
ufficio di Procura della Repubblica. Il Tribunale per i Minorenni ha sede
in ogni città dove ha sede una Corte di Appello.
Il Tribunale per i Minori è l’organo predisposto alla tutela
del minore e la sua competenza è di natura sia penale sia civile.
Per la competenza penale, si occupa dei reati posti in essere da imputati
minorenni che abbiano però compiuto i 14 anni: al di sotto di questa
età non si è infatti imputabili per la legge italiana. E’
inoltre competente anche in materia di fanciulli abbandonati o maltrattati
dai genitori, in materia di adozione nazionale ed internazionale, nonché
in materia di fanciulli che hanno violato la legge penale prima dei quattordici
anni, quando cioè non hanno la capacità penale.
Gli interventi e le misure disposti dal Tribunale per i Minorenni nell’ambito
della sua competenza penale sono attuati dai Servizi Minorili del Ministero
della Giustizia, in collaborazione con i Servizi Sociali della comunità
locale (Comuni, Province).
4
- il sistema italiano di giustizia minorile – competenza
civile
La competenza civile è invece di natura residuale rispetto a quella
del Tribunale Ordinario e di seguito ne sono elencate alcune:
– emanazione di provvedimenti necessari in caso di contrasto tra
i genitori su questioni attinenti all’esercizio della potestà
sui figli (art. 316 c.c.)
– decisioni sull’esercizio della potestà sul figlio
naturale riconosciuto (art. 317 bis c.c.)
- emanazione dei provvedimenti di decadenza, allontanamento del minore
dalla casa familiare o altri provvedimenti che ritiene opportuni (artt.
330 e 333 c.c.)
– decisioni sull’adozione dei minori (legge 184/83)
– emanazione dei provvedimenti di affidamento familiare senza il
consenso dei genitori (art. 2, legge 184/83)
Gli interventi e le misure disposti dal Tribunale per i Minorenni nell’ambito
della sua competenza civile devono essere attuati dai Servizi Sociali
della comunità locale. Rientrano negli interventi di carattere
civile quelli relativi ai minori di quattordici anni che hanno violato
la legge penale. Spesso questi ragazzi presentano situazioni familiari
molto carenti e genitori negligenti o maltrattanti. Si interviene allora
con misure di carattere puramente civile, imponendo ai genitori e al ragazzo
di accettare la supervisione del Servizio Sociale della comunità
locale. Può essere disposto l’affidamento del ragazzo al
Servizio Sociale, ed in questo caso egli è tenuto a seguire le
prescrizioni di comportamento che il Servizio ritiene di dargli. Se il
ragazzo non deve rimanere in famiglia, il Tribunale può ordinare
il suo collocamento in una casa-famiglia o in una comunità o in
un istituto, a cura dei Servizi Sociali della comunità locale.
5
– il maltrattamento e la violenza sessuale
Il Governo italiano ha rivolto una particolare attenzione all’inquietante
fenomeno del maltrattamento e della violenza sessuale nei confronti dei
cittadini di età minore. Sia che il maltrattamento si concretizzi
in una condotta attiva (percosse, lesioni, atti sessuali) sia che esso
si concretizzi in una condotta omissiva (incuria, trascuratezza, abbandono)
esso provoca gravi conseguenze a breve, medio e lungo termine sul processo
di crescita che rischia di essere compromesso.
Non meno inquietante è quella forma di violenza all’infanzia
che si estrinseca nello sfruttamento del minore da parte degli adulti.
La cultura che la genera, radicata sulla riduzione del bambino da persona
a oggetto di cui disporre liberamente, porta a conseguenze gravi, perché
il bambino violentato o sfruttato perde inevitabilmente quell’autostima
che è indispensabile per svilupparsi compiutamente come persona
e perché il percepirsi come privo di valore porta o alla ribellione
e alla aggressività o alla passività e all'iperacquiescenza.
Fondamentale è prevenire questi fenomeni e indispensabile attuare
forme di intervento risocializzante volte ad un pieno recupero del minore
vittima degli abusi e degli sfruttamenti.
Purtroppo fenomeni di questo tipo sono presenti nel nostro Paese e tagliano
trasversalmente tutte le fasce sociali.
6
– il monitoraggio del fenomeno
Manca ancora in Italia un compiuto monitoraggio della reale incidenza
di questi fenomeni perché gli unici dati sicuri sono allo stato
attuale quelli derivanti dalle statistiche giudiziarie che, ovviamente,
non possono essere pienamente esaustivi. Infatti:
a) alcuni fenomeni non costituiscono reato (per esempio la prostituzione,
a meno che non si tratti di induzione o di favoreggiamento e sfruttamento
difficilmente comprovabili, o l’uso personale di sostanze stupefacenti);
b) per i reati di violenza, abuso e sfruttamento di minori le denunce
all’autorità giudiziaria sono poche:
- non tutte le vittime sono disposte a denunciare i fatti per evitare
una sgradevole pubblicità e per non dovere rivisitare nel corso
del processo esperienze spesso devastanti;
- molte violenze vengono perpetrate nel chiuso dell’ambiente familiare
e l’omertà tra adulti a danno dei minori copre spesso inquietanti
situazioni;
- il soggetto in età evolutiva o non percepisce l’abuso come
tale o comunque difficilmente ha la capacità e il coraggio di rappresentarlo
all’esterno.
Qui è opportuno solo segnalare i dati relativi agli interventi
di protezione assunti dai Tribunali per Minorenni intervenendo sulla potestà
genitoriale: sono ovviamene indicativi di una disfunzione della relazione
genitoriale che implica o comportamenti commissivi o comportamenti omissivi
che producono grave pregiudizio ai ragazzi. Negli anni 1993, 1994 e 1995
i Tribunali per Minorenni hanno rispettivamente emesso 7.736, 7.257 e
5.831 provvedimenti limitativi o ablativi della potestà genitoriale.
Né vi sono allo stato attuale significative ricerche sulle varie
forme di sfruttamento del minore che possano illuminare sull’entità
dei fenomeni in mancanza di dati giudiziari. È intenzione dell’Osservatorio
e del Centro Nazionale di sviluppare nei prossimi anni ricerche in questi
campi. I dati giudiziari sono relativamente indicativi del reale spessore
del fenomeno del maltrattamento nei confronti dell’infanzia non
solo per la forte incidenza del numero oscuro della devianza ma, per quanto
riguarda i maltrattamenti e le violenze, anche perché per la maggior
parte dei reati le statistiche Istat non indicano le qualità delle
vittime e pertanto non è possibile individuare se riguardano minori
o altre persone della famiglia. Così il reato di abbandono riguarda
non solo i minori ma anche le persone adulte incapaci; così i reati
di maltrattamento in famiglia possono riguardare anche altri membri della
famiglia diversi dal minore; così il reato di violazione degli
obblighi di assistenza familiare può riguardare comportamenti non
relativi alla prole. Specifici sono invece i reati di infanticidio e di
abuso dei mezzi di correzione.
7
– la normativa
La violenza sul fanciullo in tutte le sue forme è vietata dalla
legge sia con misure di carattere penale applicabili a qualunque soggetto
responsabile della violenza, sia con misure di carattere civile che concernono
più direttamente i genitori e i legali rappresentanti del fanciullo.
8
– il codice civile
Il codice civile (artt. 330 e 333) prevede che il genitore che viola o
trascura i suoi doveri nei confronti del figlio o abusa dei suoi poteri
arrecandogli pregiudizio può essere privato in tutto o in parte
della potestà. I suoi rapporti col figlio possono essere limitati
o sospesi dal giudice, che può anche nominare un diverso rappresentante
legale al fanciullo e può disporre che egli sia collocato in un
altro ambiente. In caso di urgenza il Tribunale può prendere anche
d’ufficio i provvedimenti temporanei nell’interesse del fanciullo.
I Tribunali per i Minorenni applicano gli artt. 330 e 333 a una larga
fascia di comportamenti
violenti dei genitori. Secondo la giurisprudenza queste norme possono
riguardare la violenza fisica incluse le punizioni corporali; la violenza
mentale e l’abuso psicologico (umiliazioni, offese, crudeltà
mentali), la trascuratezza la negligenza e l’incuria; lo sfruttamento;
l’abuso sessuale genericamente inteso, anche cioè quando
si tratta di comportamento che non costituisce un reato.
Gran parte della giurisprudenza ritiene applicabili gli art. 330 e 333
anche quando, in caso di separazione o divorzio, il fanciullo viene volutamente
coinvolto dai genitori nei loro contrasti, o quando viene ostacolato il
diritto di visita, o quando il figlio viene sottratto al genitore affidatario.
9
– la legge 184/83
L’abbandono del fanciullo riceve una protezione maggiore e più
specifica nella legge 4 maggio 1983 n.184 sull’adozione e l’affidamento.
Si ha abbandono quando il bambino è privo di assistenza morale
e materiale da parte dei genitori o dei parenti, quando cioè costoro
si disinteressano completamente di lui. La situazione di abbandono deve
essere accertata e dichiarata dal giudice (Tribunale per i Minorenni)
con un apposito processo. Se si accerta che esiste uno stato di abbandono
il bambino è dichiarato adottabile e ha diritto ad essere inserito
in una nuova famiglia.
Secondo l’interpretazione della Corte Suprema di Cassazione, si
verifica abbandono non solamente quando i genitori omettono di assistere
il figlio e non si occupano più di lui, ma anche quando tengono
nei suoi confronti un comportamento che si traduce in assoluta mancanza
di assistenza morale e materiale.
La legge 4 maggio 1983 n.184 si occupa specificamente di garantire una
protezione speciale e l’assistenza ai bambini che siano temporaneamente
o permanentemente privati del loro ambiente familiare o che non possano
essere lasciati in tale ambiente nel loro superiore interesse. Tale legge
afferma con forza il diritto di ogni bambina e bambino a crescere in famiglia,
impone agli operatori di non ricorrere, se non in casi estremi, all’inserimento
del minore in un istituto assistenziale ed educativo, indicando in via
preferenziale l’affidamento ad un’altra famiglia, possibilmente
con figli minori, o ad una persona singola o a una comunità di
tipo familiare.
Solo quando ciò non sia possibile è previsto il ricovero
in un istituto.
10
– l'art. 404 c.c.
Inoltre, come si evince dall’art. 404 c.c., quello riguardante l’intervento
della Pubblica Autorità a favore dei minori, "quando il minore
è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in
locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità,
ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all’educazione
di lui, la Pubblica Autorità, a mezzo degli organi di protezione
dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa
provvedere in modo definitivo alla sua protezione".
Inoltre, il giudice può disporre anche “l’affidamento
del minore a quello tra i parenti che appaia maggiormente idoneo ad assicurare
adeguata occasione di sviluppo psicofisico. L’allontanamento del
minore dalla residenza familiare ed il conseguente affidamento a soggetto
diverso da quelli fin qui indicati, può essere disposto soltanto
laddove risulti evidente la prova:
a) che il minore è esposto al rischio concreto ed attuale di violenze
fisiche, sessuali o morali da parte di uno o di entrambi i genitori;
b) che non esiste nel contesto degli ascendenti di primo e secondo grado,
o dei collaterali, alcun soggetto disponibile e idoneo ad assicurare adeguata
occasione di sviluppo psicofisico per il minore.
I provvedimenti del presente capo sono revocabili in qualsiasi momento"
(art. 333bis c.c.).
Tutto questo accade perché, come si denota dalla Costituzione Italiana
(art 30), i genitori hanno il diritto ed il dovere di "mantenere,
istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio".
Nei casi d’incapacità dei genitori, la legge provvede a che
siano assolti i loro compiti.
La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica
e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.
11
– la segnalazione
La situazione di abuso o violenza nei confronti dei minori può
essere segnalata al Tribunale per Minorenni direttamente da un parente
per l’adozione dei provvedimenti di protezione. Può essere
egualmente segnalata da qualunque persona sia venuta a conoscenza dell’abuso
o della violenza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per
Minorenni che, accertata la fondatezza della segnalazione, inizierà
l’azione presso l’organo giudicante. Lo stesso obbligo non
è previsto per i casi di maltrattamento, a meno che essi, in ragione
della loro gravità, non possano essere considerati come casi di
abbandono.
Anche il minore vittima può chiedere direttamente protezione rivolgendosi
alla Procura della Repubblica per i Minorenni, e cioè al pubblico
ministero, che provvede a chiedere formalmente il provvedimento al Tribunale.
Nei casi di maltrattamento e violenza a danno dei minori, di particolare
rilevanza è il ruolo dei Servizi Sociali sia per l’individuazione
delle situazioni di abuso, sia per un primo trattamento del caso, sia
nella fase dell’esecuzione del provvedimento del Tribunale, che
molto spesso decide di attribuire ai Servizi compiti di sostegno e controllo
del caso finché ciò si riveli necessario nell’interesse
del fanciullo.
12
– il codice penale
Il codice penale prevede una serie di reati contro la violenza ed i maltrattamenti
ad ogni persona, e quindi anche al minore, ed alcuni reati tipici in cui
solo il minore può essere vittima (infanticidio, abbandono di minore,
omicidio di minore consenziente o istigazione al suicidio di minore, abuso
dei mezzi di correzione o di disciplina, corruzione di minorenni, sottrazione
di minori, elusione dei provvedimenti del giudice civile in materia di
affidamento di minori, illeciti affidamenti di minori per eludere la legge
sull’adozione).
13
– obbligo di denuncia e obbligo di referto
Comunque, è importante, al fine di tutelare il minore, dare notizia
di reato qualora uno degli organi che vengano a contatto con il bambino
abbia il sospetto che quest’ultimo sia vittima di abuso. Con l'espressione
"dare notizia di reato" si intende: la narrazione, diretta o
indiretta, nel corso di dichiarazioni, o la rappresentazione in un documento,
di un fatto che costituisce reato, o ancora la deduzione sulla base di
elementi reali diretti (ad es. tracce su cose o persone, oggetti ecc.)
che un reato è stato commesso (artt. 361 e 362 c.p.).
E’ importante, a tal proposito, fare una distinzione tra obbligo
di denuncia e obbligo di referto, questo perché la notizia di reato
è perseguibile d’ufficio e quindi, a seconda del professionista
che dà la notizia di reato, è bene distinguere tra:
- obbligo di denuncia: riguarda coloro che rivestono la qualifica di Pubblici
Ufficiali Incaricati di Pubblico Servizio i quali, nell’esercizio
delle loro funzioni, sono venuti a conoscenza di un reato perseguibile
d’ufficio: ciò comporta che in tali casi la notizia di reato
deve essere da loro trasmessa per iscritto e senza ritardo, all’Autorità
competente. La violazione dell’obbligo di denuncia è penalmente
sanzionata (art. 361 c.p.). Sono da considerarsi Pubblici Ufficiali (art.
331 c.p.) o Incaricati di Pubblico Servizio (art. 334 c.p.) tutti gli
operatori sanitari e assistenziali nelle strutture pubbliche […]
nonché gli insegnanti delle scuole pubbliche o private convenzionate;
- obbligo di referto: è l’obbligo, la cui violazione è penalmente
sanzionata (art. 365 c.p.), che riguarda coloro che esercitano una professione
sanitaria e che vengono a conoscenza, prestando la loro opera o assistenza,
di casi che possono avere i caratteri di reato procedibile d’ufficio.
L’obbligo non sussiste solo nel caso in cui il referto esporrebbe
la persona assistita a procedimento penale.
N.B: Nel caso in cui l’esercente la professione sanitaria sia anche
Pubblico Ufficiale o Incaricato di Pubblico Servizio (es. nel S.S.N.)
per costui scatta comunque l’obbligo di denuncia (tale obbligo infatti
non ammette quella deroga prevista sopra per il referto).
La notizia di reato deve essere fatta al Pubblico Ministero o all’Ufficiale
di Polizia Giudiziaria.
Qui di seguito è riassunto quanto riportato finora:
NOTIZIA
DI REATO PERSEGUIBILE D'UFFICIO |
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INCARICATO DI PUBBLICO
SERVIZIO O
PUBBLICO UFFICALE
NELL'ESERCIZIO DELLE
PROPRIE FUNZIONI |
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ESERCENTI UNA
PREFESSIONE SANITARIA
IN STRUTTURA
PUBBLICA O PRIVATA |
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OBBLIGO
DI DENUNCIA |
OBBLIGO
DI REFERTO |
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P.M.
- UFFICIALE DI POLIZIA GIUDIZIARIA |
14
- procedura in caso di presunto abuso
Il grafico proposto di seguito schematizza la procedura di segnalazione
in caso di presunto abuso:
15 – procedura in caso di abuso
In caso di abuso sessuale, è possibile, invece, seguire la procedura
illustrata qui sotto:
 |
16
– la legge 66/96
In generale, l’attività legislativa si sta sviluppando nel
nostro Paese per realizzare una più adeguata tutela e promozione
dei diritti dei minori.
La legislazione penale italiana sulla libertà sessuale è
stata completamente rivisitata, con un adeguamento agli impegni imposti
alla Convenzione sui Diritti dei Bambini. E’ con la legge 66/96
che cade la prospettiva moralistica e moraleggiante che aveva contraddistinto
la norma precedente. Cambiano anche le condotte illecite da combattere:
se prima si combattevano disgiuntamente sia la violenza carnale sia gli
atti di libidine violenti (entrambi non ben definibili), oggi sono combattuti
gli atti sessuali.
Per stabilire la sussistenza o meno del reato di violenza carnale si doveva
procedere ad una valutazione delle condizioni fisiche della vittima, cioè
si doveva stabilire, attraverso perizie mediche, se vi fosse stata penetrazione,
e se sì, fino a che punto. Ciò richiedeva una minuziosa ricostruzione
dei fatti da parte della vittima, molto imbarazzante, ma necessaria al
fine di accertare la realizzazione del reato di violenza carnale o atti
di libidine.
Con questa riforma il bene giuridico tutelato è la liberta sessuale
e non più la moralità pubblica ed il buon costume ed inoltre,
con essa, si ha una più ampia tutela del minore.
Infatti, con l’articolo 13 della suddetta, si delibera che durante
le indagini preliminari e nel corso dell’udienza preliminare, il
P.M. e i difensori possono chiedere, con incidente probatorio, l’audizione
del minore in forma protetta, cioè con l’adozione di tutte
le cautele necessarie ad evitare che la vista dell’imputato possa
turbare il minore.
17
– l'incidente probatorio
L’ incidente probatrio (art. 392 c.p.p.) è “una procedura
che consente di assumere le prove anticipatamente rispetto al dibattimento”.
La norma prevede che si proceda a:
1) assumere la testimonianza di una persona, quando vi è fondato
motivo di ritenere che la stessa non potrà essere esaminata nel
dibattimento per infermità o altro grave impedimento;
2) assumere una testimonianza quando sulla base degli elementi concreti
e specifici vi sia motivo di ritenere che la persona sia esposta a violenza,
minaccia, offerta o promessa di denaro affinché non deponga o deponga
il falso;
3) esaminare la persona sottoposta ad indagini su fatti concernenti la
responsabilità di altri;
4) esaminare i soggetti imputati in un procedimento connesso o collegato,
ma separato (art. 210 c.p.p.);
5) il confronto tra persone che in altro incidente probatorio o al P.M.
hanno reso dichiarazioni discordanti;
6) effettuare la ricognizione, quando particolari ragioni di urgenza non
consentono di rinviare l’atto al dibattimento.
Il Pubblico Ministero o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere
che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza
di persona minore degli anni 16 (art. 392 comma 1bis c.p.p.) nei procedimenti
per i delitti di cui all'art. 609 c.p. (violenza sessuale, violenza sessuale
aggravata, atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne e violenza
di gruppo), così come per i reati di cui alla legge 269/98.
La Corte Costituzionale, con la sentenza 262/98, ha previsto l’incidente
probatorio anche nei casi di reato di corruzione di minorenne.
Inoltre, all’art. 14 si stabilisce che l’udienza di assunzione
della prova possa svolgersi anche in luogo diverso dal Tribunale, avvalendosi
il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza, quali
i Servizi Minorili dell’amministrazione della giustizia e dei Servizi
istituiti dagli enti locali o, in mancanza, presso la casa del minore
(comma 5bis art. 398 c.p.p.).
18
– approfondimenti sulla legge 66/96
Più in generale, la legge del 15 febbraio 1996 n° 66, norma
sulla violenza sessuale, ha stabilito:
- che i reati di abuso sessuale sono reati contro la persona e non contro
la moralità pubblica;
- che i due reati distinti di violenza carnale e di atti di libidine violenti
(a secondo che vi sia stata o non vi sia stata penetrazione) siano unificati
nell’unico reato di violenza sessuale, il che costituisce una maggiore
tutela per il soggetto in formazione, sia perché esclude le avvilenti
indagini, particolarmente traumatiche, per individuare se vi era stata
o non penetrazione, sia perché appare evidente che per un bambino
anche atti sessuali diversi dalla violenza carnale hanno eguale effetto
distruggente;
- che costituiscono reato le condotte di chi con violenza o minaccia o
abuso di autorità costringe un minore di qualunque età a
compiere o subire atti sessuali. In questo caso le pene sono più
pesanti: da 7 a 14 anni di carcere se si tratta di un fanciullo che non
ha compiuto 10 anni, da 6 a 12 anni di carcere se si tratta di un fanciullo
che non ha compiuto 14 anni (o 16 se il colpevole è il genitore
o il tutore);
- che costituisce egualmente reato punibile con pena da 5 a 10 anni chi,
pur senza violenza, compie atti sessuali con un fanciullo che non ha compiuto
14 anni (o 16 se il colpevole è il genitore o il tutore o altra
persona che ne ha l’affidamento). Se il fanciullo ha meno di dieci
anni, la pena va da 7 a 14 anni di carcere;
- che il reato è procedibile di ufficio se gli atti sessuali sono
commessi con minori inferiori degli anni dieci ed è invece procedibile
a querela se gli atti sessuali sono commessi con minori degli anni sedici
consenzienti quando l’autore è l’ascendente, il genitore
o il tutore ovvero se gli atti sessuali sono commessi con minore degli
anni quattordici consenziente quando l’autore è persona che
ha più di quattro anni di differenza di età e gli atti sessuali
commessi con minori di anni tredici quando l’autore è persona
minore con meno di quattro anni di differenza di età rispetto al
minore leso;
- che costituisce reato (nuova formulazione della fattispecie del reato
di corruzione di minorenne) il compiere atti sessuali in presenza di minore
degli anni quattordici al fine di farlo assistere ai medesimi atti (la
pena è della reclusione da sei mesi a tre anni);
- che costituisce reato di violenza sessuale di gruppo la partecipazione
di più persone riunite ad atti di violenza sessuale;
- che, per tutelare la personalità del minore vittima di reati
sessuali, il procedimento si svolga a porte chiuse ed inoltre che il Pubblico
Ministero possa chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione
della testimonianza del minore di quattordici anni.
19
– la legge 269/98
A completamento di questa legislazione, il parlamento ha recentemente
approvato una nuova legge sullo sfruttamento sessuale dei minori: “Legge
269/98: norme contro lo sfruttamento sessuale dei minori quale nuova forma
di riduzione in schiavitù”. La legge 269/98 stabilisce:
- che chi induce alla prostituzione persona minore di diciotto anni ovvero
ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione
da sei a dodici anni e la multa da trenta a trecento milioni;
- che chi, salvo che il fatto non costituisca più grave reato,
compie atti sessuali con minore di età compresa tra i quattordici
e sedici anni in cambio di danaro o altra utilità economica è
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con multa non inferiore
a dieci milioni;
- che il Pubblico Ufficiale o l’Incaricato di Pubblico Servizio
che abbia notizia che un minore esercita la prostituzione è obbligato
a darne immediata notizia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale
per Minorenni che promuove i provvedimenti di tutela;
- che chiunque sfrutta minori di diciotto anni al fine di realizzare esibizioni
pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con
la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da cinquanta a cinquecento
milioni. Alla stessa pena soggiace chi commercia il materiale pornografico;
- che chiunque distribuisce, divulga o pubblicizza anche per via telematica
materiale pornografico o notizie finalizzate all’adescamento e allo
sfruttamento sessuale dei minori è punito con la reclusione da
uno a cinque anni e la multa da cinque a cento milioni. A questo riguardo
la legge prevede che l'organo del Ministero dell'Interno preposto alla
sicurezza e alla regolarità dei servizi di telecomunicazione possa
attivare sulle reti di comunicazione informatica taluni siti per poter
intercettare e ricevere tutte le informazioni utili allo svolgimento delle
indagini di polizia nel settore;
- che chiunque cede ad altri, anche a titolo gratuito materiale pornografico
prodotto mediante sfruttamento sessuale del minore degli anni diciotto
è punito con la reclusione fino a 3 anni e la multa da tre a dieci
milioni;
- che chiunque si procura o dispone di materiale pornografico prodotto
mediante sfruttamento sessuale del minore degli anni diciotto è
punito con la reclusione fino a tre anni o la multa non inferiore a tre
milioni;
- che chiunque organizza, favorisce o propaganda viaggi verso l’estero
finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno
di minori è punito con la reclusione da sei a dodici anni e la
multa da trenta a trecento milioni;
- che alla stessa pena di cui all’art. 601 c.p. soggiace chi commette,
tratta o comunque fa commercio di minori di anni diciotto al fine di indurli
alla prostituzione;
- che i predetti reati sono perseguibili anche se commessi all’estero
da cittadino italiano ovvero da cittadino straniero in concorso con cittadino
italiano;
- che è attribuita alla Presidenza del Consiglio dei Ministri l’attività
di coordinamento di tutte le pubbliche amministrazioni relativamente alla
prevenzione, assistenza e tutela dei minori dallo sfruttamento e l’abuso
sessuale;
- che le multe erogate costituiranno un fondo per finanziare specifici
programmi di prevenzione assistenza e riabilitazione dei minori vittime;
- che la Presidenza del Consiglio dei Ministri acquisisce dati a livello
nazionale e internazionale sull’attività di prevenzione e
repressione e promuove studi e ricerche su gli aspetti sociali, sanitari
e giudiziari dei fenomeni di sfruttamento sessuale di minori.
20
– il decreto del Ministero dell'Interno del 30/10/98
Infine, con decreto del Ministro dell'Interno in data 30 ottobre 1998
sono state istituite le Sezioni di Polizia Giudiziaria specializzate nel
contrasto di tali reati, dando maggiore impulso all'attività svolta
dagli Uffici Minori già operanti presso le Questure. Questi sono
gli aspetti innovativi della suddetta norma:
- fatto commesso all’estero: i reati contenuti nella legge 269/98
sono punibili anche quando il fatto è compiuto all’estero
da cittadino italiano o da cittadino straniero in concorso con un italiano,
ovvero in danno di cittadino italiano;
- tutela delle generalità e dell’immagine del minore (art.
734bis c.p.): chiunque, nei casi di violenza sessuale, sfruttamento e
altri reati previsti dalle leggi 66/96 e 269/98, divulghi anche attraverso
mezzi di comunicazione di massa le generalità e l’immagine
della persona offesa senza il suo consenso, è punito con l’arresto
da tre mesi a sei mesi;
- modalità di ascolto protetto del minore (ausilio di esperti e
strumenti tecnici);
- attività di contrasto per realizzare indagini più efficaci;
- ampliamento dei limiti di ammissibilità delle intercettazioni
telefoniche;
- fondo per programmi di prevenzione, assistenza e recupero sia delle
vittime sia, in parte, dei colpevoli.
21
– la legge 476/98
Il nostro Parlamento ha inoltre approvato in data 31/12/98, la legge 476:
disegno di legge di ratifica della Convenzione de L’Aja per la tutela
dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, presentato
al governo il 20/06/1997 e che ha costituito funzionalmente e culturalmente
lo strumento delle adozioni con gli interventi di solidarietà internazionale
e di cooperazione allo sviluppo (ONU p. 8).
22
– la legge 154/2001
Di più recente promulgazione, la Legge 154 del 5 aprile 2001: “Misure
contro la violenza nelle relazioni familiari”, con la quale il P.M.
può chiedere al giudice l’allontanamento, prescrivendo all’imputato
di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro,
e di non accedervi senza l’autorizzazione; può prescrivere
determinate modalità di visita.
Inoltre “può prescrivere di non avvicinarsi a luoghi determinati
abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo
di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti,
salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro.
Inoltre, il giudice civile ai sensi dell’art. 342ter c.c. "può
disporre, ove occorra, l’intervento dei Servizi Sociali del territorio
o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni
che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di
donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattamenti"
(con "il pagamento di un assegno periodico
Tale ordine non potrà avere durata superiore ai 6 mesi, a decorrere
dall’avvenuta esecuzione del provvedimento, salvo gravi motivi e
per il tempo strettamente necessario.
Interessante è anche la statuizione sulle modalità di esecuzione,
che sono lasciate al giudice: egli, nel caso sorgano difficoltà
o contestazioni, provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più
opportuni per l’attuazione, ivi compreso l’ausilio della forza
pubblica e dell’ufficiale sanitario.
Infine, è opportuno ricordare che nei casi di maltrattamento e
violenza a danno dei minori di particolare rilevanza è il ruolo
dei Servizi Sociali sia per l’individuazione delle situazioni di
abuso, sia per un primo trattamento del caso, sia nella fase dell’esecuzione
del provvedimento del Tribunale, che molto spesso decide di attribuire
ai Servizi compiti di sostegno e controllo del caso finché ciò
si riveli necessario nell’interesse del fanciullo.
23
– il trattamento delle vittime della violenza
Il problema più rilevante, per quanto sopra detto, è quello
di riuscire a far emergere i fenomeni di maltrattamento o violenza nascosti,
non solo o non tanto per perseguire i colpevoli quanto principalmente
per assicurare al ragazzo un adeguato sostegno e recupero. Si sta sviluppando
pertanto un’azione di sensibilizzazione dei professionisti (in particolare
gli insegnanti e i pediatri) che più frequentemente sono a contatto
con bambini e ragazzi e che meglio possono percepire sia i segni della
sofferenza conseguenti alle violenze subite sia le tracce delle violenze
fisiche subite.
Con l’Associazione Culturale Pediatrica si è instaurata un’intensa
collaborazione del Centro Nazionale già citato: nel 1997 è
stato tenuto un seminario di formazione per pediatri che dovranno a loro
volta istituire corsi di formazione sui problemi della violenza all’infanzia
nelle varie realtà territoriali. Un’intensa attività
per fare emergere il fenomeno dell’abuso e il maltrattamento all’infanzia
è stato compiuta nel nostro paese da un’organizzazione non
governativa, il Telefono Azzurro, sia attraverso una serie di inìziative
di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sia attivando una diffusa
rete telefonica a cui può rivolgersi chi intende segnalare un abuso in
atto o chi intende ricevere consigli in ordine alle relazioni con minori.
Si sta cercando anche di sviluppare una nuova cultura del rispetto della
personalità del minore e una rete di servizi per la protezione
e la cura del bambino maltrattato.
Una particolare attenzione deve essere rivolta allo sfruttamento e all’abuso
sessuale. Questo sia perché il fenomeno appare in espansione, e
non solo nel nostro Paese, sia perché presenta aspetti sovranazionali
(il turismo sessuale, le reti pedofile attraverso internet), sia principalmente
per gli effetti devastanti che sul regolare processo maturativo del soggetti
in formazione finiscono con l’avere queste forme di violenza.
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